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a cura di Aurora Tamigio
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BIENNALE DI VENEZIA
53° ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE d'ARTE
dal 7 giugno al 22 novembre 2009 > FARE MONDI > leggi l'articolo

Ways of Woldmaking: la Biennale del filosofo
Uno sguardo sulla prima Biennale di Daniel Birnbaum:
artisti, opere, Padiglioni


 

 
 

Quella orchestrata da Daniel Birnbaum è una Biennale piuttosto interessante, condizionata non poco dalla formazione filosofica del suo curatore. Ways of Worldmaking, il titolo dell’opera di Nelson Goodman alla quale la Biennale 2009 deve il suo tema, offre uno spunto interessante per provare ad inquadrare questa Esposizione. Tralasciando il titolo heideggeriano dell’opera di Goodman, Fare Mondi è un tema che da subito è apparso estremamente rischioso. Un contenitore di idee fin troppo vasto dove pareva esserci posto per ogni forma, dove quel sostantivo Mondi al plurale lasciava intendere una libertà creativa ed espositiva che facilmente poteva trasformarsi in una rassegna disordinata di artisti di diversa provenienza, formazione, età. Parlando soprattutto della parte allestita al Palazzo delle Esposizioni e tenendo anche conto delle difficoltà allestitive che presentano gli spazi labirintici dell’edificio, il lavoro di Birnbaum è apparso, nella sua dispersività, ordinato da linee guida da lui stesso spiegate.
Un mondo – dice il curatore - tende a essere abitato da più di un individuo, quindi in questo caso “fare” ruota intorno al costruire qualcosa di comune, che può essere condiviso. Forse i nuovi mondi emergono dove i mondi esistenti s’incontrano, ed è per questo che sono interessato alle innumerevoli traduzioni del titolo.
A chi lo accusa di aver allestito una Biennale avulsa dal contesto globale, perbenista e “borghese”, Birnbaum risponde, con approccio certo un po’ romantico ma senza alcun dubbio atipico, concentrandosi soprattutto sull’artista e sull’ incontro di forme diverse: accostare diverse realizzazioni di uno stesso tema proprio come si accostano le innumerevoli traduzioni del titolo, quindi costruire “mondi”. La creatività estetica come primo materiale costruttivo. Noi costruiamo i nostri mondi costruendoli, scrive Goodman.
Edificazioni fuori dagli schemi e rielaborazioni architettoniche per lo più grandiose dello spazio sono oggetto delle opere di un gruppo di artisti che ha per nume tutelare Yona Friedman, architetto, designer e teorico dell’architettura leggera e dell’urbanistica visionaria. Questi artisti sono rappresentati alla Biennale dal tedesco Tobias Rehberger, dal nostro Massimo Bartolini o dal giovane Tobias Saraceno con la sua sensazionale ragnatela di galassie. Da questi artisti non dobbiamo aspettarci architetture nel senso classico del termine ma strutture geometriche antimonumentali e ambienti sorprendenti dove anche l’uso di materiali leggeri concorre ad un effetto finale di leggerezza. Si segnala per affinità con Friedman anche l’opera di Wentworth che sfida la gravità con un’istallazione di cavi e libri sospesi.

Tomas Saraceno, Galaxis Forming along Filaments,
like Droplets along the Strands of a Spider's web


Un altro filone attraversa l’esposizione: si tratta di costruzioni arazionali, spesso lavori a parete ordinati, dalle dimensioni più contenute per favorire la concentrazione dell’osservatore. Un caso è quello della sala di Gutai, dalle opere praticabili alle lampadine insabbiate di Michio Yoshihama, oppure dell’opera di Georges Adeagbo, artista del Benin che si dedica ad istallazioni a parete dagli evidenti risvolti sociali.
Molto divertenti le opere di Andrè Cadere: bastoncini colorati appoggiati agli angoli per tutte le sale dell’Esposizione. Un’infiltazione dell’arte nella stessa arte.

Fiabesche invece le atmosfere evocate dalle ombre giocattolo di Hans Peter Feldmann (Shattenspiel), la cui opera si accompagna a riflessioni sulla riproducibilità dell’opera d’arte e sulla manipolazione dell’oggetto ordinario. Le performance istallative dell’indiano Nikhil Chopra, le visioni psych della russa Anna Parkina e le complesse animazioni dell’americano arrivato da Hong Kong, Paul Chan presentano una visione del mondo giovane ( tutti e tre gli artisti sono nati negli anni ’70) e proiettata verso un futuro digitale e psichedelico. Giovane e talentuosa anche la svedese Nathalie Djurberg, la cui opera è carica di un fascino a metà tra la fiaba e l’orrore. Ad amplificare l’atmosfera onirica dei video, che hanno come protagonisti pupazzi di plastilina colorata che si muovono in stop motion, ci pensano le sculture installate tra i differenti monitor: fiori giganteschi e arbusti dai colori violenti e acidi che creano uno scenario da incubo. Per lei alla Biennale, menzione speciale della giuria.

Nettamente diversa è la situazione del Padiglione Italia. Le perplessità sull’allestimento sono molte, soprattutto quando una collocazione errata penalizza l’opera. È il caso della sculture di Aron Demetz, in cui la figura umana appare angosciante e sinistra, quasi in decomposizione: posizionate svantaggiosamente all’ingresso, nella penombra, non hanno goduto dell’attenzione che meritavano. Al contrario si segnala la scelta di valorizzare strutture imponenti come quella di Silvio Wolf che investe e illumina di un’ aura mistica la lunga parete incastonata da una miriade d’inquietanti, piccole sculture in ceramica a opera di Bertozzi & Casoni.

Pochissimi i richiami al Futurismo promessi dai curatori nell’anno del centenario: fatta eccezione di FuturBolle di Davide Nido, non sono presenti altre citazioni. La situazione migliora di molto con l’allestimento fotografico di Costa e Basilè che conquistano lo spazio circostante nell’alternarsi di fotografie di diversi formati, quasi in competizione fra loro. Parecchi consensi ha ottenuto l’opera del duo Masbedo, Schegge d’incanto in fondo al dubbio, un dittico nel quale un impianto tecnologico e cinematografico di altissimo livello sorregge una composizione narrativa di grande pathos.

Tra gli altri Padiglioni si segnalano il Padiglione dell’America Latina con i copertoni di bicicletta aggrovigliati di Dario Escobar e quello cileno per le installazioni di luci e specchi di Iván Navarro. Elegantissimo, ma già visto, il padiglione di Danimarca e paesi nordici: una casa arredata all’ultimo grido e fuori una piscina in cui galleggia un morto, sul fondo si intravedono alcuni oggetti personali del defunto (un pacchetto di sigarette e un orologio di lusso). A qualche metro di distanza, nel Padiglione russo, Andrei Molodkin espone un’installazione messa in moto da un liquido rosso, sangue pronto a irrorare la carcassa della Nike di Samotracia. Anche nel Padiglione degli Stati Uniti Bruce Nauman non stupisce.
Sembra quindi facile inquadrare questa Biennale 2009 in una tendenza generale che privilegia l’individualità dell’artista, in una dimensione onirica, sospesa, di contro ad uno spirito polemico e un po’ pulp, che non pare convincere più tanto.


Aurora Tamigio - Testo e servizio fotografico
Luglio 2009

Esposizione internazionale d’Arte Venezia 2009
Fare Mondi

dal 7 giugno al 22 novembre 2009
Giardini della biennale, Arsenale
Orario: 10.00-18.00
Giardini chiuso il lunedì (escluso lunedì 8 giugno e lunedì 16 novembre 2009)
Arsenale chiuso il martedì (escluso martedì 9 giugno e martedì 17 novembre 2009)

>per info sugli eventi collaterali http://www.labiennale.org

 

 



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