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a cura di Aurora Tamigio
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IL VILLAGGIO DI CARTONE
LA-BAS
TERRAFERMA

Storie di immigrazione dal
68. Festival del cinema di Venezia.

 

 

 
 

IL VILLAGGIO DI CARTONE - LA-BAS - TERRAFERMA
Storie di immigrazione
dal 68. Festival del cinema di Venezia.

 
L’anno 2011 sarà ricordato come l’anno in cui il cinema “scoprì” l’immigrazione.

Come spesso accade i Festival sono la vetrina ufficiale per le nuove tendenze del cinema, così la 58. Mostra d’Arte Cinematografia La Biennale di Venezia ha presentato tre pellicole che hanno per tema l’incontro con lo straniero: Il villaggio di cartone di Ermanno Olmi, Là-bas di Guido Lombardi, Terraferma di Emanuele Crialese.

L’entusiasmo della critica per l’opera di Olmi non è una sorpresa, ha stupito invece la convinzione con cui Venezia ha premiato i due registi giovani con due riconoscimenti importanti: Premio L. De Laurentiis per l'opera prima a Lombardi, Premio speciale della giuria per Crialese. Queste premiazioni sono sintomo forse che non è vero che il cinema italiano è in crisi, ma solo che gli spettatori chiedono, oggi più di ieri, storie vere.

Un tema accomuna queste tre pellicole: a partire dall’immigrazione, il confronto stabilito è fra la legge giusta e quella ingiusta, tra la legge dello Stato e quella dell’uomo. Dinnanzi all’attualità i tre registi pongono domande direttamente allo spettatore: è giusto rispettare la legge anche quando questa si rivela inadeguata e ingiusta? E laddove la legge dello Stato dovesse rivelarsi inefficiente, con cosa sostituirla?

Risponde Olmi, facendo appello ad uno spirito cristiano (in senso antico), risponde Lombardi, riproponendo il dualismo legge-legalità, risponde Crialese, recuperando la poesia e la legge del mare.

 
Il villaggio di cartone, Ermanno Olmi (Italia, 2011)
 
Presentato fuori concorso a Venezia, Il villaggio di cartone, di Ermanno Olmi, racconta una storia di immigrazione attraverso la crisi dell’ultima istituzione: la Chiesa. Il parroco di un paese si trova ad ospitare nella sua chiesa, spogliata dalla ditta di traslochi, un gruppo di clandestini in cerca di rifugio. Usando come alloggio solo le panche e i cartoni, gli stranieri restituiranno la vita al luogo sacro - ormai quasi abbandonato dai cittadini - trasformandolo, tra le proteste delle autorità, nel“villaggio di cartone”. Il film di Olmi è la storia della riscoperta del significato di ecclesia attraverso l’incontro con i nuovi “ultimi”. Pur non rinunciando al gusto per l’introspezione e la vocazione morale (non mancano i simbolismi, come la pioggia che cade sul fonte battesimale), appare strabiliante la capacità del regista ottantenne di raccontare oggi una storia che parla, coerentemente con tutta la sua attività cinematografica passata, di sconfitti e miserabili. Come solo i grandi registi sanno fare, Ermanno Olmi, pur mantenendo il tono aulico ed elegante che è nel suo stile, ha saputo attribuire alla vicenda una modernità che la distingue non solo dalle altre opere in concorso ma anche dalle sue opere passate.
 
Là-bas, Guido Lombardi (Italia, 2011) 
 
Film-maker, sceneggiatore, regista di documentari, Guido Lombardi, classe 1975, ha portato a Venezia una storia in cui l’illegalità dell’essere clandestini si innesca sull’illegalità nostrana. Yssouf, un giovane artista africano, arriva a Castel Volturno per lavorare e pagarsi il materiale che gli occorre per realizzare le sue opere. L’incontro con la comunità africana locale porterà Yssouf alla scoperta del sistema del lavoro illegale fino ad incrociare la sua strada con quella di suo zio Moses, boss a capo di un ingente traffico di cocaina. Tra sfruttamento, spaccio e prostituzione la storia di Lombardi passa per un fatto di cronaca: l’uccisione da parte dei camorristi nel settembre 2008, in una sartoria di Castel Volturno, di sei immigrati africani in una sparatoria punitiva. Là-bas , in francese “ laggiù”, è un film che cela al suo interno una grande malinconia: il titolo rimanda alla mancanza della propria casa, della terra d’origine ma anche alla distanza che intercorre tra gli immigrati e gli italiani, in un micro mondo isolato da qualunque regola che non sia quella dei clan. Per il regista napoletano la pellicola è stata un’occasione per confrontarsi non solo con il tema dell’immigrazione, trattato con rigore documentario nella raffigurazione delle comunità africana a Castel Volturno, tra le case occupate illegalmente e il lavoro nero, ma anche con quello della criminalità organizzata. Premio L. De Laurentiis per l'opera prima alla 68. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica La Biennale di Venezia 2011.
 
Terraferma, Emanuele Crialese (Italia, 2011) 
 
Per chi ha visto Nuovo Mondo, questo di Emanuele Crialese, può essere considerato come un viaggio di ritorno: là si seguivano i nostri migranti in viaggio per Ellis Island, qui si vedono arrivare sulle coste siciliane gli stessi volti smunti e gli stessi corpi patiti. Terraferma è la storia di una battaglia: quella fra la legge della terra, che dice di non dare soccorso ai clandestini in mare, di non raccoglierli sui pescherecci, di non assisterli, e la legge del mare, affermata dall’orgoglioso Ernesto, vecchio pescatore che “in mare non ha lasciato morire mai nessuno”. Su un’innominata isola siciliana una famiglia di pescatori salva dal mare un gruppo di clandestini e dà soccorso ad una famiglia (madre incinta e un figlio), di nascosto dalle autorità. Intorno alla vicenda si svolge il conflitto interiore del giovane Filippo, combattuto tra amoreggiare con le turiste, seguire i consigli dell’arrogante zio Nino o farsi educare dal nonno alla “legge del mare”. Pur mantenendo la poesia e la bellezza di immagini tipiche dei film precedenti, la pellicola di Crialese, riesce a mediare il gusto per l’immagine pulita con una predilezione per la luce naturale e per primi piani imperfetti. Premio speciale della giuria alla 68. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Terraferma è un felice incontro tra le problematiche contemporanee legate agli sbarchi nel sud Italia (l’inadeguatezza delle leggi attuali, i problemi legati al turismo, l’inefficienza dell’apparato assistenziale) e l’indagine sull’incontro/scontro di due mondi separati non tanto dai confini nazionali quanto da quelli del mare e della terra.
 
Aurora Tamigio
Pubblicazione Novembre 2011
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Aurora Tamigio
Dopo la maturità scientifica si è laureata in Lettere Moderne, con indirizzo storico-artistico, all'università di Pavia.
Oggi è iscritta alla facoltà di Storia dell'Arte e lavora presso l'ufficio stampa di una nota casa editrice.
Collabora come redattrice per testate web con attenzione alle pagine culturali e di opinione.

 
 
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