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a cura di Valentina Mariani

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Acqua Ferita/Wounded Water
Il Padiglione Iraq
torna alla Biennale di Venezia
dopo anni di assenza.

 

 

   
 
 
Azad Nanakeli - Foto V. Mariani
 
 
Acqua Ferita/Wounded Water
Il Padiglione Iraq torna alla Biennale di Venezia dopo anni di assenza.
Walid Siti - Foto V. Mariani
 
A metà strada tra Arsenale e Giardini, ospitato nell’affascinante edificio della Gervasuti Foundation, il Padiglione Iraq propone per la 54a Biennale di Venezia una riflessione sul tema dell’acqua. I sei artisti coinvolti entrano nelle viscere di una terra devastata da continue guerre e illuminano una delle ferite più profonde della propria nazione: Acqua Ferita/Wounded Water. Dopo il 1976, questa è la prima occasione per l’Iraq di instaurare un dialogo culturale con il resto del mondo, dopo che per lungo tempo le problematiche interne ne hanno impedito la presenza. E l’Iraq sfrutta questa possibilità con la forza di un paese che desidera crescere e che, per rendere possibile un nuovo futuro, indaga per prima cosa su sé stesso.
Non a caso, quindi, l’acqua: fonte di vita e di sostentamento, indispensabile quanto l’aria, carica di significato religioso come può esserlo solo un elemento naturale.
Un padiglione fortemente comunicativo, perché – forse molto più di altri – ha qualcosa di vero da raccontare. Le forme artistiche più moderne intervengono con delicatezza e poesia, nulla è lasciato al caso, per raccontare un disagio e un pericolo che in nessuna parte del mondo l’uomo può più permettersi di trascurare.

Ali Assaf - Foto V. Mariani  
I sei artisti coinvolti rappresentano due generazioni: tre sono nati negli anni ’50, tre negli anni ’70. Tutti hanno lasciato la terra natia, dopo aver studiato arti visive a Baghdad, e si sono trasferiti nel mondo occidentale, dove hanno proseguito i loro percorsi di formazione e si sono affermati a livello internazionale. I primi sono Ali Assaf, Azad Nanakeli e Walid Siti; i più giovani invece sono Adel Abidin, Ahmed Alsoudani, Halim Al Karim.

Ahmed Alsoudani - Foto V. Mariani  
Ad accogliere i visitatori, appena varcata la soglia, è l’opera Meso, di Walid Siti, trascrizione immaginifica del fiume Grande Zab, uno dei maggiori affluenti del Tigri, minacciato dalla siccità, come dimostrano le tracce dei suoi affluenti prosciugati. La medesima sorte è toccata alla protagonista della seconda opera dello stesso artista, Beauty Spot: Gali Ali Beg, una cascata che due anni fa rimase asciutta durante la stagione estiva. Al centro della riflessione di Walid Siti, quindi, l’aridità, la scomparsa di qualcosa che in tempi migliori esisteva; ed era sostentamento e meraviglia della natura.
Ma la siccità non è l’unica piaga a colpire l’acqua irachena. Azad Nanakeli narra, con un linguaggio di forte impatto visivo, semplice e incisivo, il disastro dell’inquinamento. Un’installazione: AU (water), composta da tre enormi rubinetti; al di sotto di essi, là dove ci aspetteremmo di trovare acqua, è collocata una montagna di rifiuti, tra cui spiccano innumerevoli bottiglie di plastica accartocciate.
Un video: Destnuej, che porta alla luce la contraddizione di un rituale di purificazione eseguito con l’acqua delle sorgenti, un tempo pure, oggi corrotte dall’inquinamento e divenute veleno per il corpo.
Un altro video, che affronta la stessa tematica da una diversa angolatura, è Narcissus di Alì Assaf: il modello classico di Caravaggio viene calato nella realtà odierna; l’artista si chiede se anche oggi Narciso riuscirebbe a specchiarsi nell’acqua di un fiume. La risposta è data da tutti gli oggetti che scorrono sotto i suoi occhi e che increspano la superficie dell’acqua, contaminandola. Di Alì Assaf è anche Al Basrah, the Venice of the East, l’opera forse più emotiva del Padiglione. Vecchie foto di famiglia, immagini in bianco e nero e pensieri trascritti su pezzi di cartone, per raccontare un paese che ha perso la propria identità a causa della guerra. La devastazione, tutta racchiusa nella piramide di datteri contaminati dall’uranio, collocata al centro della stanza. La disperazione, rappresentata con compostezza da lacrime nere come il petrolio sulle pareti. Quest’opera trasmette con estrema forza e sincerità il dolore provato dall’artista nel ritrovare il proprio paese natio completamente trasformato dopo gli anni della sua assenza.

Sede: Gervasuti Foundation, Fondamenta S. Anna (Via Garibaldi), Castello 995 - Venezia Italy
www.pavilionofiraq.org
Nella Foto l'artista Kalim al Karim
Courtesy: Biennale Iraq
 
Più vicini al tema della guerra sono invece gli artisti più giovani. Ahmed Alsoudani, con i suoi dipinti senza titolo, che mettono in scena corpi disfatti e attorcigliati con colori surreali – sullo sfondo sempre l’Iraq – mostra i ricordi della propria infanzia.
Adel Abidin, nel video Consumption of war, rappresenta due giovani uomini d’affari che combattono uno contro l’altro con lampade fluorescenti. Una denuncia contro il consumismo e contro lo spreco di acqua, come spiega l’artista, se si pensa che per ogni barile di petrolio estratto è necessario un barile e mezzo di acqua e che un cittadino su quattro non ha a disposizione acqua potabile.
Infine, Halim Al Karim è presente con le opere Nations Laundry, Hidden Love e Hidden Revolution.
 
La posizione un po’ defilata, lontana dalle luci dei riflettori che investono i Padiglioni più chiacchierati e magari meno meritevoli (primo tra tutti il nostro Padiglione Italia), non sminuisce la potenzialità di un progetto tanto ben studiato ed attuato. La coerenza e il significativo contenuto del Padiglione Iraq accolgono lo spettatore e lo trascinano, per il tempo della visita, in un paese lontano, di cui troppo spesso si è sentito parlare, ma che non si conosce a sufficienza. Gli artisti per primi – proprio loro che, per trovare una speranza per il futuro, hanno abbandonato il proprio paese – denunciano come nulla venga dimenticato, come lo sfruttamento petrolifero e le guerre lascino segni irreversibili e dolorosi, che qualcuno però prova il desiderio di cancellare, per ricominciare. Questi artisti narrano le ferite profonde di una nazione che ha bisogno di guarire.
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Valentina Mariani
Visita Luglio - pubblicazione Settembre 2011
 



Valentina Mariani
Valentina Mariani (Varese, 1988) dopo il diploma al liceo classico, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne con curriculum storico – artistico presso l’Università degli Studi di Pavia. Attualmente è iscritta alla laurea magistrale in Storia delle Arti dall’Antichità al Contemporaneo nello stesso ateneo. Da sempre appassionata di scrittura, negli anni passati ha partecipato con buoni risultati a diversi concorsi letterari. Collabora con alcune testate web che si occupano di storia dell’arte ed esposizioni temporanee.
 
 
Azad Nanakeli
Foto V. Mariani
 
 
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